(USA/2018) di Bryan Singer (134')
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Poteva essere una bohemian tragedy e invece la rapsodica, nel senso di episodica, vita di Freddie Mercury leader dei Queen è una hit spensierata che guardi, balli e poi ti dimentichi ma con piacevole soddisfazione. Rischiava di essere un flop annunciato perché i realizzatori sono stati incerti nel tono fino all’ultimo, senza una star dopo l’abbandono di Sacha Baron Cohen e con un regista prestigioso come Bryan Singer licenziato dopo tre mesi di riprese (gli è subentrato Dexter Fletcher). E invece God save the Queen laddove il miracolo l’ha compiuto il divino Rami Malek, attore di origini egiziane stimato per la serie tv Mr. Robot ma senza un grande ruolo cinematografico in curriculum, qui prodigioso a partire dalla spiritosa incoscienza con cui ha vestito i panni di un’icona del Novecento. Il suo Freddie Mercury ha gli occhioni sgranati di un bambino sempre sull’orlo delle lacrime, onnipotente solo quando si dimena su un palcoscenico con la fedele mezz’asta del microfono con cui fare acrobazie. Il film tutto sommato è la dolce vita di una diva leggermente riottosa, più Biancaneve che Evil Queen [...]. È tutto controllato e prodotto dal management del gruppo con l’obiettivo di non irritare nessuno, pieno zeppo di errori storici e omissioni, dando a Mercury il ruolo del ribelle con una causa: l’ego. Molto bella la ricostruzione della creazione in studio del capolavoro Bohemian Rhapsody contenuta in A Night at The Opera (1975) con Mercury a gestire dal mixer le individualità del gruppo prendendo in giro il machismo del batterista Roger Taylor (gli chiederà il famoso intermezzo operistico Galileo con voce acuta da castrato) e la ritrosia dell’astrofisico represso Brian May a lanciarsi in ‘schitarrate’ realmente rockettare. Ci piace il solido buon umore dell’intera operazione e la sobrietà di una produzione oculata al punto da non sforare i 60 milioni di dollari di budget nonostante il look da kolossal. Grazie al basso budget al momento è il biografico musicale più redditizio della storia.
Francesco Alò
Quando ti chiedono di interpretare Freddie Mercury, ti chiedi “come faccio a essere all’altezza?”. Mi ci sono avvicinato come avrei fatto con qualunque altro ruolo. L’ho spogliato dalle sue impressionanti capacità da performer – la sua presenza scenica, la sua voce, il suo talento al pianoforte – e al centro ho trovato un uomo molto complicato, che stava cercando di scoprire la propria identità. Era un aspetto che sapevo come fare mio. Partendo da lì, sarei stato capace di costruire le fondamenta che servono a darti sufficiente sicurezza per fare anche tutte le altre cose.
Rami Malek